Due temi potenzialmente distanti tra loro, sono stati messi al servizio l’uno dell’altro all’interno di un evento culturale dagli organizzatori de Il Rumore Del Lutto, la rassegna internazionale per la quale collaboro alla stesura di parte dei testi.
Ho scelto di raccontarti questo convegno perché tra tutti gli eventi culturali proposti questo è stato illuminante, ma anche per come è stato pensato; un tema delicato quello del fine vita, da declinare nella sua complessità e attraverso una visione architettonica.
Una scelta potenzialmente difficile da realizzare con successo, senza cadere nelle trappole della banalità e con l’obiettivo di attrarre un pubblico attento e motivato, nonché numeroso: organizzare un evento culturale è sempre una sfida.
I curatori della manifestazione, insieme all’ordine degli architetti, hanno puntato tutto sulla scelta dell’ospite individuando in Michele De Lucchi la personalità ideale per raccontare il ruolo dell’architettura nel fine vita, con voce filosofica e consolatoria.
Voglio ripercorrere alcune fasi di questo convegno nel quale più che le nozioni sono state le emozioni a scorrere tra i presenti, ininterrotte e forti, suscitate dalla capacità oratoria di De Lucchi e dagli argomenti coinvolgenti che ha scelto di trattare.
L’introduzione al convegno
«La morte è parte della vita e non un dettaglio dal quale rifuggire».
Con queste parole Marco Pipitone, curatore della rassegna, ha aperto l’incontro del 31 ottobre a Palazzo del Governatore di Parma, intitolato “Il Rumore del Lutto è il rombo del futuro”.
Special guest di infinita umanità e saggezza, l’architetto Michele De Lucchi ha condotto una lezione illuminante.
«Vorrei essere rassicurante..» ha iniziato così l’architetto, ponendo l’accento su quanto ognuno di noi abbia la necessità di trovare conforto di fronte all’ignoto.
Dentro alla parola morte c’è tutto, sia l’essenza di quel che vediamo che di ciò che è invisibile; la morte è proprio la forza dell’ignoto e fintanto che questa forza esiste, ci sarà bisogno di Dio e delle religioni.
Michele De Lucchi ha poi raccontato, attraverso un viaggio tra i suoi lavori più affini al tema, come l’architettura può dare il suo contributo alla qualità umana più importante che richiama la morte: la dignità.
Di fronte alla morte siamo così sconcertati da perdere la dignità e con essa la possibilità di vivere appieno uno dei passaggi fondamentali della vita.
Il volto dei luoghi dove la vita si trasforma
L’architettura diventa essenziale per vestire i luoghi all’interno dei quali si consuma questo momento cruciale: è la natura con i suoi elementi che guida il lavoro di De Lucchi che, progettando un Hospice lo riempie di luce naturale e colori, dove il fuoco diventa il simbolo della trasformazione della vita.
Forse cambiare volto gli ambienti non sarà sufficiente a rassicurare, ipotizza l’architetto, ma è un contributo essenziale che va dato. Le stanze del “fine vita” dovrebbero comunicare con forme e colori la presenza della natura che, come simbolo del ciclo eterno di nascita e morte, diventa protagonista di questa trasformazione.
Un viaggio ideale, grazie al quale torniamo a far parte di qualcosa di più grande accolti da madre natura, al netto di ogni personale credo. Comprendiamo quindi che c’è ricerca in questo senso, che l’architettura si sta occupando di progettare questi spazi e lo fa continuando ad approfondire il tema della morte.
L’ignoto ci spinge a cercare e questa ricerca concorre ad approfondire la conoscenza.
Insieme al presidente dell’ordine degli architetti, De Lucchi ci porta a riflettere sulle parole “memoria” e “speranza”: conoscere lo stato delle cose (memoria) per sviluppare un’idea di futuro (speranza) che lui collega ai giovani e alla loro forza propulsiva, indispensabile alla nostra società per evolversi.
Un fiume in piena di spunti di riflessione che ci ha fatto comprendere una volta di più la necessità di approfondire il pensiero, di ampliarlo e di come una disciplina come l’architettura possa diventare veicolo filosofico dal quale attingere per “rassicurarsi”.
«Tutto quello che si ha è quello che si dà» afferma con forza De Lucchi, per accompagnarci verso l’ennesima considerazione, che ci mette al centro dei nostri risultati. Siamo gli unici fautori della nostra vita e il come la viviamo rappresenterà per noi fortuna o declino.
Cambiare il punto di vista: la chiave di accesso a una visione serena del fine vita
Generosità è la parola che mi è venuta in mente ascoltandolo, quella che va allenata quando non esce spontaneamente, perché è dando agli altri che la vita si riempie di significato e abbondanza.
Qualcosa che ci torna utile soprattutto nella parte finale del nostro viaggio.
Con il suo intervento Michele De Lucchi ci consegna una visione di futuro nella quale si inserisce il ciclo di nascita e morte, come parte di un fluire naturale al quale, per vocazione in quanto esseri umani, dovremmo aderire senza rifuggirne il senso profondo e senza paura.
Avere una visione onnicomprensiva nella quale riescono ad armonizzarsi gli aspetti materiali, ambientali, esoterici e spirituali, tutti rivolti ad un futuro carico di evoluzione e speranza, può aiutarci a trovare quel conforto provvidenziale.
In questa visione ci sono i giovani che con la loro forza propulsiva vanno accompagnati sulla strada della conoscenza, che resta l’unica a poter liberare e forgiare il potenziale umano.

Un esempio di evento culturale di rara profondità spirituale e di visione del mondo, qualcosa di cui abbiamo bisogno.
Mi chiamo Roberta Marchi e scrivo per aiutare brand e persone a incontrarsi, sia in digitale che live.
Mi appassiona la visione d'insieme e la creatività, che senza analisi è nulla. Credo nella comunicazione che rilascia ispirazioni, come quelle che ho ricevuto viaggiando; l'incontro con culture diverse mi ha insegnato a contaminare le mie certezze per non sentirmi mai troppo al sicuro e restare disponibile al cambiamento.