Articolo aggiornato il 24 febbraio 2021
Ieri, domenica 3 febbraio 2019, si è conclusa la 14° edizione del Beautiful Day, un evento prodotto da Ekis Srl, al quale collaboro per la parte tecnica da 4 anni, ma che in realtà conosco dai suoi esordi.
L’evento, nato dall’idea di Livio Sgarbi, presidente di Ekis, porta in scena ogni anno al Teatro Dal Verme di Milano, temi diversi di attualità, con i quali trainer e speaker si misurano con il desiderio di offrire al pubblico punti di vista alternativi e motivanti; è anche l’occasione per fare del bene dando un contributo collettivo ad associazioni che si occupano del benessere di bambini e ragazzi in Italia e nel mondo.
Coinvolgere personaggi del panorama culturale o dello spettacolo, in eventi così squisitamente di brand, è un’operazione delicata, nella quale vengono coinvolti i valori aziendali più profondi, che la persona chiamata a testimoniare l’evento, dovrà amplificare attraverso i propri codici comunicativi.
Ieri si è creata magia per 1500 persone presenti in teatro che, con tanto di standing ovation, hanno salutato Paola Maugeri alla fine di un intervento carico di emozioni, di spessore culturale ed esperienze di vita vissuta, elargito con la passione che la contraddistingue.
Questo è uno di quei casi nei quali si può dire quanto la scelta di una persona in particolare, abbia fatto la differenza per l’intero evento; Paola ha incarnato perfettamente l’idea che ho di brand ambassador che attira su di sé il sentire del pubblico, lo decodifica e offre risposte in linea con i valori del brand.
Vedere Livio e Paola insieme su quel palco era un sogno che avevo da tre anni, ennesima dimostrazione che se credi in qualcosa le strade prima o poi si aprono.
Cosa vuol dire essere un brand ambassador e come scegliere: il metodo e l’intuito
Niente accade per caso; ho ripreso a seguire Paola diverso tempo fa su Virgin Radio, dopo gli anni di MTV nei quali l’avevo conosciuta mentre si faceva le ossa come Vj e giornalista musicale; al suo bagaglio professionale aveva aggiunto la maturità di chi condivide i propri ideali anche quando sono scomodi.
Parlava di sostenibilità e veganismo con sapienza, in un momento in cui se ne sapeva poco e niente.
Nel 2015 mentre scrivevo un progetto per un festival dedicato alla mia città, nacque l’esigenza di coinvolgere un personaggio forte che mediasse gli interventi di filosofi e giornalisti; il festival nasceva proprio per parlare di sostenibilità ambientale, scelte alimentari, cultura e musica, con la vocazione della proposta: volevamo far emergere contenuti e personaggi interessanti che ancora non avessero risonanza nazionale.
Insieme al responsabile marketing del progetto, valutammo tanti profili e quando parlammo di lei, mi raccontò che aveva dato la sua voce per il video dell’ONU sulla giornata mondiale delle foreste e che, come noi, era buddista.
L’intuito mi diceva che era la persona giusta e il metodo mi indicava che aveva tutte le caratteristiche per servire la missione dell’evento; i valori di una marca o di un evento, non possono essere introiettati alla persona che dovrà testimoniarli.
È necessario scegliere qualcuno che li condivida naturalmente e che abbia anche delle caratteristiche personali rintracciabili nel brand.
E la visibilità?
Sovraesposizione vs visibilità di nicchia
Questo è il punto dolente di tanti brand manager che, nel tentativo di utilizzare i personaggi come catalizzatori di pubblico, virano dai valori per convergere sul profitto, optando per testimonial sovraesposti spesso non in grado di rappresentare bene la marca e meno ancora di essere forieri di pensieri inediti.
Si tratta di scelte tailor made, alle quali si arriva seguendo un minuzioso processo di ricerca capace di coniugare l’appeal di un personaggio con il valore reale che è in grado di dare alle persone: un valore che il pubblico trasforma in ritorno per la marca.
In ultimo la sovraesposizione non piace; le persone si affezionano ai personaggi ma coltivano la fame di conoscerne sempre di nuovi, un appetito che il brand ha l’occasione di soddisfare.
Questo non significa eliminare a priori testimonial famosi, anzi, come sempre dipende dal personaggio; personalmente non toglierei mai Clooney a Nespresso perché è perfetto per la marca e mai sovraesposto, cosa che gli permette di mantenere intatto il fascino tipico della star inarrivabile: irresistibile per il pubblico.
La sovraesposizione dei personaggi è un po’ come l’ipernarrazione dei messaggi pubblicitari; entrambi sono ridondanti e nel tempo allontanano le persone.
Ci sono testimonial che solo qualche mese fa avrei indicato come perfetti per alcuni eventi, ma che a distanza di un anno, trovandomeli ovunque a ripetere sempre gli stessi mantra, hanno perso quella tensione all’inedito che suscitava interesse e curiosità; sovraesporsi per dire ovunque le stesse cose è una scelta che fanno in molti ma che nel lungo periodo non paga.
Quando hai scelto crea il format
Lavorai con Paola la prima volta nel 2016 costruendo per lei un format di intervista molto particolare, che integrava perfettamente la sua esperienza nella sostenibilità, con il rock; il successo di quell’evento mi spinse a proporla per l’evento di charity di Ekis.
Ci ho messo tre anni a convincere questo cliente che era il personaggio giusto e questo a causa della credenza che i testimonial debbano essere famosi e sovraesposti per generare attenzione; in quattordici edizioni è stata la seconda standing ovation del pubblico a un personaggio che con i suoi messaggi ha generato empatia e un coinvolgimento delle persone che è proseguito nel tempo.
Anche in questo caso abbiamo creato un format che però lei ha stravolto andandosi a sedere sul bordo del palco per parlare direttamente con le persone: i grandi sanno quando improvvisare. 😊
Un consiglio
Se ti occupi di comunicazione e di scelta dei testimonial, o sei a capo di un’azienda e stai cercando la persona perfetta per la tua marca, fai ricerca; i migliori non parlano dai megafoni ma sottovoce, li devi scovare fra i tanti canali digitali, radio e televisivi, partendo dai temi che abbracciano i valori che vuoi rappresentare: è una sfida, ma quando devi dare qualcosa alle tue persone, non può che essere il meglio.
Mi chiamo Roberta Marchi e scrivo per aiutare brand e persone a incontrarsi, sia in digitale che live.
Mi appassiona la visione d'insieme e la creatività, che senza analisi è nulla. Credo nella comunicazione che rilascia ispirazioni, come quelle che ho ricevuto viaggiando; l'incontro con culture diverse mi ha insegnato a contaminare le mie certezze per non sentirmi mai troppo al sicuro e restare disponibile al cambiamento.