Sono passati dieci mesi, da quel 21 febbraio 2020, in cui veniva annunciato il primo caso italiano di Covid19; ci siamo illusi che con qualche mese di travaglio ce la saremmo cavata e invece, dopo dieci mesi siamo ancora qui, a bordo di una barca a remi, a fronteggiare onde alte dieci metri.

Più o meno come allora navighiamo a vista, sappiamo curare meglio, abbiamo un vaccino (da poco tempo) ma non sappiamo quando finirà, perché le variabili sono troppe, ma anche le varianti del virus non scherzano.

Una delle preoccupazioni più grandi a livello sociale è quella che racconta Philip Kiefer su National Geographic, dove spiega, con l’aiuto di neuroscienziati e psicologi, quanto il prolungarsi della pandemia rischia di lasciare danni emotivi che potrebbero modificare ulteriormente il comportamento sociale, di fronte alla ripresa della normalità.

Peter Stearns, esperto di storia delle emozioni presso la George Mason University, evidenzia che l’essere umano ha un’incredibile capacità di adattamento, ricordando il rigore con cui furono seguite le misure di contenimento durante l’influenza spagnola e quanto velocemente furono dimenticate, una volta rimosse.

Nel 1918 però le persone non vivevano sotto un quotidiano bombardamento mediatico, che le spingeva a rivivere la paura e l’incertezza praticamente in ogni istante, variabile questa che a noi potrebbe rendere le cose più difficili.

George Bonanno, professore di psicologia clinica presso la Columbia University, analizza gli effetti della pandemia come riconducibili a uno stress cronico e per questo con una più alta probabilità di non esaurirsi con il ripristino della normalità.

L’isolamento diventa malattia

Danni psicologici, separazioni e aumento della violenza domestica sono illustrati nell’articolo di Annalisa Camilli che racconta come e quanto la pandemia stia aggredendo la vita delle persone che, dentro a paure e restrizioni, si stanno abituando a non fare, non desiderare, non avere.

Analizzando il comportamento d’acquisto in campo musicale, emerge la preferenza verso ascolti che rock.it definisce “innocui”, evitando completamente le nuove uscite discografiche, come se scegliendo solo gli artisti già accreditati nel proprio cuore, si possa accedere a una qualche forma di rassicurazione.

Un dato che mette in allarme l’industria dei live e degli eventi che, insieme a turismo e arte, stanno affrontando una crisi totale, dovuta all’impossibilità di svolgere qualsiasi attività; la riapertura, ammesso che possa avvenire in tempi ragionevoli, potrebbe non coincidere con la capacità delle persone di muoversi verso momenti di incontro di massa, ma anche solo di muoversi verso qualunque attività risalente al pre-pandemia.

Mantenere l’equilibrio è possibile

Io non sono una psicologa e non sono dotata di bacchetta magica, ma un po’ la vita mi ha insegnato e nel tentativo di suscitare una riflessione, ti racconto una storia dai risvolti illuminanti.

Molti anni fa una cara amica si ammalò improvvisamente di una forma rarissima di tumore; era il quinto caso al mondo e gli altri erano in fin di vita.

Le restavano poche settimane, così decidemmo di incontrare un signore giapponese che praticava il buddismo da svariati decenni: quando non c’è più niente da fare si diventa creativi.

Andammo a Milano per incontrarlo e per approfondire l’aspetto spirituale di quanto stava accadendo; lui ascoltò con grande attenzione e fece alcune domande per assicurarsi che tutto quanto il possibile fosse stato fatto.

Poi guardò la mia amica e dopo averle dato una serie di consigli spirituali le disse: «Sei giovane, hai 26 anni, fai un piano. Programma il tuo percorso di studi, decidi che tipo di famiglia vorresti costruire e dove vorresti vivere. Una volta fatto, muoviti per realizzarlo».

Con quelle poche parole ci aveva spiegato il concetto di eternità della vita, così difficile da afferrare, con una naturalezza di linguaggio non comune. Aveva guardato oltre la malattia e le circostanze esterne e si era concentrato sulla vita della mia amica, nella sua essenza, in quello scorrere che è incessante, anche se a noi sfugge.

Vivere in attesa della fine di qualcosa (la vita nel caso della mia amica, la pandemia per l’umanità) non ha alcun significato.

Ognuno di noi può tracciare la propria personale linea di infinito continuando a programmare, a desiderare, a progettare il proprio futuro, mantenendo l’azione nel cuore e nella mente; in questo modo la vita procede al di là delle circostanze esterne.

In questo modo si continua a costruire facendosi trovare pronti all’azione nel momento in cui la situazione esterna tornerà favorevole; la gestione dell’incertezza non sta nella ricerca di risposte, ma nell’azione quotidiana volta al presente e al futuro, che al posto di spegnere le passioni le alimenta.

Senza minimizzare le difficoltà, credo che tutti possano sedersi a un tavolo per scrivere un programma di cose da realizzare, che comprenda magari anche meno tv e social, ma più libri e passeggiate, per sottrarsi al fuoco di notizie che ci colpisce ogni giorno.

La vita è adesso, cantava Baglioni, e mai come ora va vissuta così com’è, cogliendo nella stessa misura occasioni e difficoltà senza staccare mai lo sguardo dalla direzione scelta; è sicuramente più facile che restare immobili nell’attesa di risposte che nessuno potrà dare.

Ps: la mia amica poi ha seguito il suo piano: ha studiato, scelto dove vivere e con chi e mentre faceva tutto questo sono cambiate le condizioni esterne, ha incontrato medici coraggiosi ed è guarita.

Essere umano, copywriter, UX writer & event designer at Linguaggi Umani | info@robertamarchi.com | Website

Mi chiamo Roberta Marchi e scrivo per aiutare brand e persone a incontrarsi, sia in digitale che live.

Mi appassiona la visione d'insieme e la creatività, che senza analisi è nulla. Credo nella comunicazione che rilascia ispirazioni, come quelle che ho ricevuto viaggiando; l'incontro con culture diverse mi ha insegnato a contaminare le mie certezze per non sentirmi mai troppo al sicuro e restare disponibile al cambiamento.