Il linguaggio inclusivo è un modo di comunicare privo di riferimenti ai generi e ad altre caratteristiche fisiche o di etnia che, con parole e immagini, costruisce messaggi nei quali ogni persona possa sentirsi coinvolta.
Addentrandoci in un tema ancora controverso, metto subito le mani avanti, proponendo una riflessione sulla parola “inclusivo” che per praticità utilizzo anche io, pur non ritenendola adeguata.
Linguaggio inclusivo, ampio e rispettoso
Alla voce inclusivo nel vocabolario Treccani leggiamo:
gg. [dal lat. mediev. inclusivus]. – Che vale a includere, o meglio che include, che comprende in sé qualche cosa.
Chi decide di includere o escludere?
Da questa definizione possiamo intuire che nel linguaggio, sono le persone considerate ‘normali’ a decidere di includere tutte le altre, quelle diverse
che, però, si trovano a subire un’azione paternalistica.
Come spiega la sociolinguista Vera Gheno.
Apertura verso una equa convivenza tra tutte le tipologie di persone, invece, è il concetto che guida il mio lavoro sul linguaggio, tenendo conto della molteplicità di caratteristiche personali espresse dalla società, non riferite unicamente ai generi ma anche a disabilità, neurodivergenze, etnia, aspetto fisico, età.
Da qui, la mia decisione di utilizzare il termine “ampio” o “rispettoso” per definire il linguaggio che si rivolge a ogni persona, senza alcuna distinzione e discriminazione più o meno involontaria.
Ma, soprattutto, per lasciare al linguaggio la possibilità di evolversi in base ai mutamenti della società e alle richieste che arrivano dalle persone: l’apertura ci consegna questa possibilità.
Perché è importante usare un linguaggio inclusivo
Nel nostro comunicare, in privato o in pubblico, abbiamo la responsabilità di far arrivare la nostra voce a chi ascolta o legge, in maniera equa, una modalità che il maschile sovra esteso non è più in grado di rappresentare.
L’evoluzione in corso all’interno della società ha permesso alle minoranze (persone disabili, neurodivergenti, donne, persone non binarie, omosessuali, etc) meglio identificate come gruppi sociali marginalizzati, di aprire un dibattito sulla loro rappresentazione che ci coinvolge.
Il consiglio di identificare le minoranze come gruppi sociali marginalizzati, nasce dal fatto che nella mancanza di rappresentazione verbale ci sono anche le donne, o la comunità LGBTQ+, gruppi sociali numericamente grandi che con il temine minoranze hanno poco a che fare.
Ignorare le loro istanze o farcene carico è una scelta che oggi è possibile fare anche consultando i dati – di cui parliamo fra poco – capaci di fornire una fotografia reale – non basata su opinioni – dell’evoluzione a cui facevo riferimento.
Linguaggio inclusivo in Italia: cosa chiedono le persone
Il diversity brand index del 2024 indica che il 72% delle persone che acquistano dichiarano di farlo più volentieri da brand attenti a inclusione e diversità.
Integral Ad Science (IAS), piattaforma globale leader nella misurazione e ottimizzazione dei media, ha pubblicato uno studio nel quale rileva la sensibilità da parte delle persone che acquistano, verso il rispetto per la diversità e l’inclusione nella comunicazione di brand.
L’importanza di questi temi per la maggioranza delle persone (italiane) intervistate, vengono espressi in percentuali che i brand, grandi e piccoli, dovrebbero tenere in considerazione:
Fra le aree di intervento, le persone hanno indicato le più importanti:
Comunicazione inclusiva: il ritorno sull’investimento.
La nostra società sta cambiando velocemente e il linguaggio, che non è un elemento granitico, ma un flusso in costante movimento, ha bisogno di evolversi, di essere creativo e coraggioso nel trovare soluzioni nuove.
Un coraggio che stando ai dati rilevati dal Diversity Brand Summit 2024, viene ripagato con un ritorno sull’investimento, pari a +25%.
Quanto può costare a un’azienda non tenere conto di queste rilevazioni?
Dal 2020 a oggi, l’attenzione verso questi temi è cresciuta in maniera esponenziale rispetto al passato, favorendo la nascita di un movimento eterogeneo di persone che chiedono di essere riconosciute.
Le aziende dovrebbero indagare questa trasformazione adattando la loro offerta a un pubblico più ampio che chiede rappresentazione, tanto nella comunicazione, quanto nei prodotti e servizi, spesso concepiti senza pensare alla disabilità o alle persone di età alta.
Se vuoi approfondire il tema con Vera Gheno, salva questo video di una sua master class alla Scuola Holden: dura un’ora e ne vale la pena.
Esempi di linguaggio inclusivo: schwa o non schwa, questo non è il problema
Pur non avendo nulla contro il fonema incriminato, cerco di usarlo con molta parsimonia e non rappresenta mai la mia prima scelta per due motivi.
Inclusione è accessibilità
Il desiderio di includere non deve intaccare l’accessibilità, altrimenti finiamo comunque per escludere chi legge e naviga in rete attraverso strumenti assistivi.
Quando la tecnologia evolverà potremo scegliere alternative grafiche, come schwa e asterischi, a patto che la collettività le abbia comprese e accettate; nel frattempo abbiamo una lingua versatile che permette di parlare a chiunque attraverso la perifrasi (o circonlocuzione), una forma un pochino più complicata – se scrivere non è il tuo mestiere – in grado di restituirci un messaggio avulso dai generi, nel quale è inclusa ogni persona.
Progettare le parole
Se deciderai di utilizzare la perifrasi per il tuo design verbale, il mio consiglio è di redigere un’appendice alle linee guida verbali del brand, dedicata al linguaggio inclusivo, prendendo in esame alcune delle situazioni linguistiche nelle quali entrano in gioco pronomi e maschile sovra esteso.
Fai un elenco di frasi tipiche da prendere come esempi e accanto a ognuna indica la soluzione alternativa; ti accorgerai che, mentre l’elenco si allunga, diventerà naturale immaginare possibilità.
Una volta terminato l’elenco, tienilo con te mentre scrivi, in modo da avere un navigatore quando la fatica prende il sopravvento e la mente si spegne.
Esempi di linguaggio inclusivo
Tutti – come lo sostituisco?
Io prediligo la parola persone, perché si rivolge a chiunque senza fare distinzioni, è umana e lontana dal linguaggio del marketing; user, ad esempio, tradotta correttamente è una parola che indica la persona che utilizza un prodotto o un servizio, se la scegliamo per rivolgerci a un gruppo di persone in un messaggio generico, stiamo facendo un errore che potrebbe risultare poco accogliente.
Un’altra parola per rivolgersi a una moltitudine è target: nel linguaggio militare ha il significato di obiettivo, bersaglio e nel marketing il ‘bersaglio’ diventano le persone, usarla per identificare un gruppo in un messaggio generico è sgradevole oltre che sbagliata.
Sono buone soluzioni per indicare la moltitudine in ascolto evitando la formula maschile. Pubblico è un’altra parola adeguata da usare in un testo dove si parla di un gruppo in ascolto, o in visione di qualcosa, oppure di un gruppo di persone, non ancora fidelizzato, potenzialmente interessate all’acquisto di un servizio/prodotto. La community, ad esempio, è un gruppo già fidelizzato e per loro, la parola ‘pubblico’ non è adeguata.
Alternative al maschile sovra esteso
Queste situazioni le incontriamo anche nella lingua parlata, dove è molto più complesso agire, a meno che non sia stato scritto e memorizzato il discorso.
Nella scrittura, invece, abbiamo il tempo per pensare e trovare alternative:
La frase è più lunga ma le parole non costano, possiamo spenderle.
Come vedi, stimolando il pensiero si attivano le soluzioni senza far perdere forza al messaggio.
Il linguaggio inclusivo ha origini lontane
Non sono certa sia stato il primo paese, ma in Svezia hanno iniziato a trattare la questione già negli anni ‘60, con l’introduzione del pronome “hen” a identificare il genere neutro, per riconoscere l’identità delle persone che non trovavano rappresentazione tra maschile e femminile.
Con grande civiltà e rispetto, nel corso degli anni sono stati condotti diversi studi per rilevare l’indice di penetrazione e utilizzo del pronome; nel 2014 uno di questi studi ha certificato che il 95% delle persone conosceva e utilizzava hen nella quotidianità ed essendo diventato di uso comune venne inserito nel vocabolario.
La consapevolezza dell’esistenza di persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender (LGBT) fu da stimolo verso una maggiore apertura a partire dal linguaggio, che ha permesso alla società svedese di trovare soluzioni, concedendo alla comunità un tempo di adattamento utile per andare verso la normalizzazione del linguaggio inclusivo, oggi ampiamente accettato e utilizzato dalla popolazione.
Ma chi ce lo fa fare
Il modo in cui parliamo, che ci piaccia o no, disegna la realtà, una questione incisa sulla pelle delle donne e di tutti gruppi marginalizzati che vivono all’interno di paesi nei quali la lingua predilige le forme maschili, per indicare qualsiasi persona, limitando l’identificazione dei generi al sesso, maschile o femminile.
Se i sessi biologici sono due, i generi sono di più e si esprimono rispetto a ciò che le persone sentono di essere, indipendentemente dal sesso assegnato alla nascita.
Questo è certamente il primo tema difficilmente digeribile da popoli e governi impegnati a conservare un immaginario di società anacronistico.
Uno studio condotto da Nature su venticinque lingue che utilizzano il maschile sovra esteso, lingue definite sessiste, rileva un maggior proliferare di stereotipi di genere difficili da sradicare, rispetto a paesi che adottano un linguaggio neutro; un dato nel quale possiamo riconoscere il nostro di paese, sempre un pochino indietro per sua natura, che marcia verso il medioevo, azzerando quei pochi diritti acquisiti – con fatica – dai gruppi sociali marginalizzati.
Effetti collaterali
Se le parole non ti riconoscono o lo fanno solo parzialmente, com’è stato in Italia fino a pochi anni fa per le professioni femminili, ti abituerai a pensare che sia giusto così, che la tua professione valga meno di quella maschile (leggi retribuzioni) o che addirittura i tuoi diritti possano essere minori rispetto a quelli degli uomini.
Ma c’è molto di più; chi è parte di una minoranza vive la propria condizione amplificata a tutti gli aspetti della vita, perché le parole sono ovunque e la mancanza di riconoscimento finisce per incidere anche sulle capacità individuali.
In un altro studio condotto sempre da Nature in Israele, i dati rilevano che le donne identificate con pronomi maschili durante dei test di matematica, prendevano voti bassi nonostante la preparazione, un risultato modificatosi dopo l’introduzione dei pronomi femminili, che ha visto aumentare i punteggi di un terzo rispetto al passato.
Le parole sono importanti
Il linguaggio è la rappresentazione verbale della realtà e impatta direttamente sull’identità delle persone; se ti rivolgi a me come faresti con un uomo la mia identità ne risentirà, ma non mi è dato di sapere come influirà negativamente all’interno della nostra relazione e della mia vita.
Per la comunità LGBT va anche peggio, perché l’ingiustizia linguistica e la conseguente mancanza di riconoscimento della propria identità provoca problemi di salute mentale, depressione e tendenze suicide, come rappresentato in questa
survey che risale al 2012: è tempo di cambiare le cose.
Linguaggio inclusivo e disabilità
Diciamolo insieme: il linguaggio inclusivo è anche chiaro e accessibile, altrimenti esclude.
Senza aprire un capitolo sull’accessibilità che richiederebbe un altro articolo, per completezza aggiungo poche considerazioni.
Quando parliamo di accessibilità ci riferiamo al design, nel suo complesso, e alla chiarezza dei messaggi; il linguaggio chiaro ha la sua letteratura e serve ad alcune categorie di persone:
Posto che leggendo alcuni testi sui siti della PA, maggiore chiarezza sarebbe gradita a chiunque, prima di progettare le nostre linee guida, dobbiamo chiederci chi sono le persone che si rivolgeranno a noi e attivare ricerche quantitative e qualitative per comprenderne i bisogni.
Con i risultati alla mano, possiamo progettare il linguaggio, tenendo presente la chiarezza e l’inclusività, sapendo che, per ogni testo, dovremmo fare delle scelte.
Esistono più livelli di chiarezza del linguaggio, se all’interno della nostra comunità abbiamo persone che necessitano di formule espressive molto facili da comprendere, dovremo dare precedenza alla chiarezza rispetto all’inclusione, quando non troviamo soluzioni adeguate. Ogni testo richiederà scelte diverse.
Linguaggio inclusivo di genere
Quando senti, o leggi, questa espressione è possibile che sia riferita al riconoscimento paritario delle professioni femminili, una forma di apertura verso le donne, da cui restano fuori le persone non binarie, che non si riconoscono in questi due generi.
Alcuni enti pubblici, ad esempio, stanno aggiornando le loro linee guida sul linguaggio, inserendo i titoli professionali al femminile, indicando questo come un lavoro sul linguaggio di genere ma, come abbiamo visto in questo articolo, genere e sesso sono due cose diverse.
Il tema è complesso, ma è urgente aggiornare il modo di comunicare per ampliare il pubblico a cui potrebbero servire i tuoi prodotti/servizi; un pubblico da rappresentare nel linguaggio e in tutta la comunicazione di brand.
Se ti stai chiedendo come fare contattami e troverò la soluzione migliore per la tua attività.
Mi chiamo Roberta Marchi e scrivo per aiutare brand e persone a incontrarsi, sia in digitale che live.
Mi appassiona la visione d'insieme e la creatività, che senza analisi è nulla. Credo nella comunicazione che rilascia ispirazioni, come quelle che ho ricevuto viaggiando; l'incontro con culture diverse mi ha insegnato a contaminare le mie certezze per non sentirmi mai troppo al sicuro e restare disponibile al cambiamento.