Brand naming

Il viaggio dalla Terra a Marte dura sette mesi e la perseveranza diventa necessaria almeno quanto l’ingenuità della scoperta che non conosce il giudizio, dato lo scopo della missione; Perseverance e Ingenuity sono naming perfetti, che piacciono a tutti e mettono di buon umore al solo pronunciarli.

Proiettano la mente nel futuro, richiamando quel sentimento di aspettativa e stupore che si prova da bambini, qualche giorno prima di Natale; e se arrivare su Marte è un’impresa memorabile di per sé, farlo con due nomi così la fa diventare anche potente.

Il nome è il punto di partenza di qualsiasi impresa, è la spinta per fare il primo fondamentale passo nel mondo, è la voce con cui un brand, un prodotto o un evento arriverà alle persone.

Cos’è il naming e perché serve al brand

Immagina di vivere senza avere un nome; non saresti riconoscibile per la società, gli amici si rivolgerebbero a te chiamandoti “Oh”, non avresti i documenti e l’accesso alle istituzioni.

Legalmente non sarebbe possibile non avere nome, perché è ciò che ci distingue dagli altri e ci permette di esistere giuridicamente oltre che fisicamente; per un brand, un prodotto o un evento, vale lo stesso principio: senza un nome non esiste.

Ora immagina di avere un nome che non ti rappresenta, che evoca ambiguità, oppure che ti mette in ridicolo; è una situazione comune a migliaia di persone che ogni anno si rivolgono all’anagrafe per apportare modifiche al proprio nome o cognome; vale sia per le persone che per le aziende.

Il nome (brand naming) è il racconto di una storia, di quel percorso che hai tracciato per arrivare nel futuro con il lavoro che ami e la missione che ti lega a esso; sono i valori in cui credi e i sogni che hai coltivato con determinazione.

Nel nome c’è l’amore che ti spinge ad alzarti ogni mattina per creare qualcosa di buono per i tuoi clienti e una comunità fatta di relazioni autentiche.

Nel nome c’è la tua idea del mondo e di quello che farai per migliorare la vita degli altri.

Distintivo, evocativo o di fantasia, la cosa importante è partire dall’inizio, alla ricerca della storia, rivoltando il brand per far cadere a terra i mille significati che lo tengono insieme: e da lì costruire.

Ogni professionista affina il proprio metodo adattandolo alla tipologia di brand per i quali lavora; personalmente cerco di evitare i nomi distintivi, in quanto più difficili da proteggere, ma anche meno coinvolgenti.

Preferisco creare nomi che evocano senza svelare del tutto, oppure, laddove si può, nomi di fantasia che abbiano quel potere immaginifico capace di affascinare anche chi da quel brand non comprerà mai.

Il brand persona, per esempio, è già un naming costituito da nome e cognome (da registrare per evitare omonimie impossibili da risolvere sul web) che però non è distintivo, non racconta cosa fa quella persona, soprattutto a chi non la conosce.

In questo caso è importante creare un payoff da abbinare a nome e cognome, che evochi la professionalità che svolge la persona in questione, in modo che sia subito chiaro il settore di appartenenza; come nel caso della mia attività.

Se tu leggessi da qualche parte Roberta Marchi, dovresti fare ricerche per capire cosa faccio, mentre aver creato Linguaggi Umani, chiarisce cosa faccio a chi entra in contatto con me: ho a che fare con le parole e con le persone. Perché il naming è a servizio anche del marketing, è la prima strategia sulla quale costruire tutto il resto.

Come creare un nome: tecnica vs creatività

  • Linguistica
  • Semantica
  • Fonetica
  • Onomatopea
  • Grammatica
  • Simbolismo
  • Cultura e arte

Sono i ferri del mestiere al servizio della creazione di un nome, insieme alla conoscenza del marketing e della comunicazione; per questo motivo di solito chi fa naming è anche copywriter, perchè ha nel proprio bagaglio tutte queste competenze, senza le quali non potrebbe scrivere.

Nonostante la complessità sono ancora in molti però a praticare il naming fai da te con un certo piglio goliardico, coinvolgendo amici e parenti in un gioco a chi la spara più creativa, magari tra una birra e un cicchetto.

La creatività, il pensiero laterale e l’inventiva, emergono solo in seguito alla costruzione della storia comunicativa; inoltre, la creatività è una pratica molto più tecnica di quanto si pensi e ha bisogno essere tenuta in costante allenamento, per ricavarne buoni frutti.

Vale per i piccoli brand come per quelli internazionali, non c’è nessuna distinzione; le regole della comunicazione (il nome è comunicazione) sono uguali per tutti, varieranno i budget e le strategie, ma non le regole.

Ogni più piccola forma di produzione, commercio, servizio, industria, dovrebbe sostenere un dialogo verso l’esterno, con uno stile preciso descritto da lessico e visual, il tutto trainato da un nome inaffondabile che resiste nel tempo continuando a raccontare.

Però nella società dei temerari (la nostra) la pratica è diffusa e sono ancora tanti quelli che con il fai da te per creare un nome per un brand, un po’ si fanno male, ma con una certa soddisfazione.

Quindi, come nasce un nome?

Caso di studio: naming evento

Credo che il racconto di un’esperienza diretta sia molto più piacevole e accogliente dello sbrodolo di un insieme di regole che ai più risulterebbero incomprensibili.

Qui vedi alcuni dei neming che ho prodotto nel tempo, ne utilizzeremo uno per guardare dentro ad alcune fasi del processo.

 

Concentrica – cibo per la mente

Quando creo un nome lo immagino parlante, un insieme di estetica, significato, comunicazione e suono, in grado di dialogare con l’esterno; m’interessa che evochi le intenzioni del brand, prodotto o evento, senza essere descrittivo.

Concentrica è nato dopo la scrittura della sinossi dell’evento, da presentare a un’istituzione che avrebbe rilasciato il patrocinio dell’iniziativa; dopo aver creato il format, scrivere la storia mi ha permesso di guardarla dall’alto in tutti i suoi aspetti e di utilizzarla come guida per muovere gli elementi.

Il festival avrebbe proposto molti contenuti culturali e artistici, si sarebbe parlato di cibo per poi gustarlo in varie forme espositive; volevamo proporre nuovi linguaggi educativi, musicali e culturali guidati dal tema della sostenibilità e di scelte alimentari più consapevoli.

L’obiettivo del festival erano le persone, il loro benessere e il loro sapere; nella mia mente vedevo le persone che apprendevano nuovi pensieri e buone pratiche da condividere con gli altri: come quando butti un sasso in un lago dal quale si propagano onde a forma di cerchi, detti concentrici.

Da qui ho lavorato sul suono, lo volevo aperto e al femminile, per questo ho messo la lettera A alla fine e inserito il gioco di parole legato al cibo, presente con la vocazione di fare cultura su ambiente, sostenibilità, km 0 e veganismo, oltre che di nutrire i corpi 😊

Poi è nata la parte visual che ha altrettanta importanza, in quanto conseguente al senso del nome; chi fa naming lavora sempre con un Art, per donare coerenza alla produzione del marchio.

Se vuoi continuare ad approfondire casi di studio, ti consiglio un articolo di David Placek, President and Founder of Lexicon Branding, una società tra le migliori al mondo in ambito naming; nell’articolo troverai tra gli altri, il caso BlackBarry, Lexsus e Post It.

Il processo di creazione nella fase iniziale coinvolge la persona che ha bisogno di un naming, perché la storia del brand è nel suo vissuto e con me dovrà condividerla; grazie a un corposo questionario la storia emerge, consegnandomi gli elementi sul quale lavorare per la produzione del nome.

Come scegliere il nome di un brand

Nell’ultima fase si torna a lavorare insieme a chi avrà la responsabilità di fare la scelta finale sulle quattro proposte emerse dall’elaborazione; creare un naming è un viaggio nel quale ci si immerge nel brand come farebbe un sub per cercare un tesoro nascosto nelle profondità dell’oceano, portarlo a galla e metterlo a disposizione di tutti.

Una volta creato il marchio, va depositato. O no?

Curare tutto il processo di creazione e poi non registrare il marchio è come acquistare un diamante pregiato e lasciarlo sul sedile della metro: qualcuno lo prenderà.

Oltre al fatto che nessuno dovrebbe andare in giro con la tua identità, il nome acquista un valore economico man mano che la tua attività cresce, diventando fondamentale per stabilire il prezzo nel momento in cui volessi venderla.

È un vero e proprio investimento e come tale va protetto con la consapevolezza che in caso di appropriazione indebita di marchio, dovrai coinvolgere un legale per difendere la tua proprietà in tribunale.

Questo è possibile solo se il marchio viene registrato in Italia, in Europa o a livello internazionale; se non collabori abitualmente con un legale abilitato alla registrazione di marchi e brevetti, potrai rivolgerti a uno studio specializzato che si occuperà di tutta la procedura e che ti assisterà in caso di controversie.

Se proteggi il tuo marchio anche Google si muoverà per sostenerti; se, per esempio, investi nelle ADS del motore di ricerca e scopri che un competitor utilizza il tuo marchio per i suoi annunci, scrivendo alla mail di supporto e allegando l’attestazione di deposito o registrazione, Google oscurerà gli annunci di chi sta utilizzando il tuo marchio indebitamente.

Ennesima dimostrazione di quanto sia importante l’identità di brand, prodotto, evento, non solo per l’azienda in sé ma anche per i fornitori con i quali viene in contatto.

Voglia di naming? Un consiglio:

così come Perserverance scandaglia Marte alla ricerca di segni vitali, tu potresti sminuzzare il tuo naming o quelli dei tuoi prodotti ed eventi, per cercare segnali di dialogo, capire se si scorge la storia e se continuerà a raccontare nel tempo  e se non dovessi trovare tutto ciò, scrivimi e daremo al tuo nome la riconoscibilità che merita.

 

Essere umano, copywriter, UX writer & event designer at Linguaggi Umani | info@robertamarchi.com | Website

Mi chiamo Roberta Marchi e scrivo per aiutare brand e persone a incontrarsi, sia in digitale che live.

Mi appassiona la visione d'insieme e la creatività, che senza analisi è nulla. Credo nella comunicazione che rilascia ispirazioni, come quelle che ho ricevuto viaggiando; l'incontro con culture diverse mi ha insegnato a contaminare le mie certezze per non sentirmi mai troppo al sicuro e restare disponibile al cambiamento.