Aristotele utilizzava la retorica come un’arte, all’interno della quale era possibile dare vita al linguaggio persuasivo, focalizzato sull’utilizzo di parole e frasi studiate per sollecitare interesse nelle persone attraverso le emozioni. Il filosofo sosteneva quanto la retorica fosse uno strumento importante per raggiungere un obbiettivo comune e la persuasione uno degli aspetti fondamentali del discorso; un pensiero che, dopo secoli, conserva intatta la sua adeguatezza in materia di scrittura pubblicitaria.
Cos’è il copywriting persuasivo?
È un modo di scrivere testi che richiama la filosofia di Aristotele; la sua teoria si concentrava sulle tre ragioni fondamentali per cui le persone dovrebbero prendere una decisione:
Il copywriting persuasivo cerca di utilizzare questi tre elementi per influenzare chi legge ad agire, in quel momento, verso una determinata proposta.
Il copywriting generico, se così vogliamo identificarlo, potrebbe sembrare più semplice da realizzare, ma è bene non farsi ingannare dalle apparenze; il copywriting classico si occupa di dare informazioni che senza una forma accattivante le persone non leggeranno.
Con il copywriting si scrive la pubblicità pura, quella degli spot tv, che sono sempre di più vere e proprie storie legate ai valori della marca; si utilizza per scrivere gli scrip per l’advertising radiofonico e tutti i contenuti utili ai brand per presidiare i canali di comunicazione online e offline che, in qualche modo dovranno coinvolgere (persuadere?) una community.
Tecniche di copywriting persuasivo
Sono una combinazione di tecniche di scrittura ed elementi narrativi per offrire a chi legge un testo convincente che invogli a prendere una decisione. Si tratta di una forma di scrittura molto più concentrata sul richiamo ad agire verso un’offerta.
La scrittura persuasiva si concentra sull’importanza di fornire al lettore un buon motivo per non rimandare una decisione di acquisto; un copy persuasivo spesso utilizza una domanda aperta – in apertura del messaggio – che introduce un argomento a cui far seguire informazioni che lo supportino.
La domanda ha lo scopo di agganciare l’attenzione della persona che sta leggendo, per accompagnarla verso la soluzione di un suo potenziale problema, raccontando – ad esempio – le emozioni suscitate dal risultato del prodotto.
Una linea sottile
Guardando la teoria nel suo insieme, non possiamo dire che il copywriting classico sia estraneo alla persuasività, anzi, c’è dentro fino al collo se vuole far arrivare il suo messaggio a destinazione e contribuire al lancio di un’offerta, prodotto o servizio che sia.
In questi anni però, un’informazione forse troppo superficiale, ha creato una separazione molto netta, quasi a voler identificare due tecniche differenti che richiedono competenze dedicate quando, nella realtà, le competenze sono le stesse.
Se pensiamo alle pubblicità dei brand iconici che hanno fatto storia, ci rendiamo conto di quanto siano state convincenti e in grado di coinvolgere, contribuendo così alla crescita dei fatturati di questi marchi.
L’elemento differenziante, quindi, tra i due modi di affrontare i testi sta unicamente nella tipologia di messaggio:
Le due formule si intersecano, mettendo come basi per il loro successo le medesime competenze e attività.
Gli elementi del copywriting
Come si vede bene anche dall’infografica, non troveremo una vera linea di demarcazione a separare nettamente i due ambiti di scrittura; ciò che potrebbe farlo è la scelta della persona che scrive di dedicarsi principalmente a una tipologia di messaggi, specializzandosi in quella modalità.
Come utilizzare il copywriting persuasivo nella strategia di marketing, nel 2023
Te li ricordi quei messaggi che intercettavamo in rete qualche anno fa, tutti con lo stesso modello di scrittura e di storytelling, inserito in un form lunghissimo con CTA ridondanti?
Qualcuno lo si trova ancora in giro per il web, scritto da irriducibili nostalgici di quel marketing, oggi obsoleto, che in passato ha fatto la ricchezza di chi, con furbizia, ha approfittato delle tecniche di scrittura a fini manipolatori, contribuendo in maniera importante a creare distanza tra la pubblicità e il pubblico che, ormai, non si fida più.
Le persone sono il fine, non il mezzo
Possiamo scrivere buoni testi seguendo modelli virtuosi, come quello proposto dal Prof. Floridi che insegna a guardare alle persone come il fine di un percorso di marketing, non come un mezzo per il profitto; questa sottile differenza è in realtà un abisso che divide i brand in due categorie: quelli che vogliono fare soldi utilizzando qualsiasi mezzo, e gli altri, quelli che hanno compreso che per stare sul mercato servono dei valori condivisibili con le persone che, ai brand, chiedono un tangibile miglioramento della loro vita.
Se ci rifletti è la stessa differenza che c’è tra persuasione e manipolazione, sembra sottile, invece riguarda la visione del mondo di una marca, come si relaziona con il pubblico e quanto partecipa al bene comune, che non è più solo il suo.
Con Influsso, nella prima waweletter di gennaio, ho trattato la persuasione anche dal punto di vista della user experience, sempre più puntuale nel sostenere il pubblico verso la ricerca di informazioni o nell’acquistare prodotti e servizi, una disciplina che non è più possibile trascurare se vogliamo costruire delle community che attraggano le persone che hanno bisogno di noi.
Come si costruiscono messaggi accattivanti
Partendo dalla scelta dei contenuti da condividere, sempre più complessa, serve prendersi il tempo per pensare, studiare, analizzare dati, comprendere il contesto e poi creare.
La cultura della velocità ha spinto molti brand, soprattutto medio piccoli, sul binario morto della disattenzione anche grazie alle pratiche malsane di cui parlavo qualche riga fa.
Credere di poter costruire strutture comunicative che resistano agli urti del tempo con il “fast writing”, perché è importante arrivare in cima e subito, si è rivelata una logica fallace in diretto contrasto con quanto s’impara sui banchi delle facoltà di comunicazione e ce lo dimostra anche la fuga dai social da parte delle persone, in atto da qualche mese.
Il tempo per rimediare è adesso, dentro una permacrisis che può e deve farci riflettere sul ruolo delle marche all’interno di un ecosistema sociale/ambientale, frammentato e intriso di diseguaglianza.
Nel 2023 un brand può avere successo nella misura in cui considera un progetto di contenuti come altamente identitario e differenziante, che guarda al lungo periodo, mettendo un mattone sull’altro, giorno dopo giorno, dedicando molto più spazio al pensare che al fare.
Mi chiamo Roberta Marchi e scrivo per aiutare brand e persone a incontrarsi, sia in digitale che live.
Mi appassiona la visione d'insieme e la creatività, che senza analisi è nulla. Credo nella comunicazione che rilascia ispirazioni, come quelle che ho ricevuto viaggiando; l'incontro con culture diverse mi ha insegnato a contaminare le mie certezze per non sentirmi mai troppo al sicuro e restare disponibile al cambiamento.